mercoledì 14 febbraio 2024

Storia del caffè parte 1: la nuova bevanda del mondo arabo ed ottomano

Se alcuni dubbi ancora rimangono circa l'epoca e il modo in cui si bevve la prima bevanda, sufficiente attendibilità ha l'affermazione che patria d'origine dell'arbusto sia stata la regione dì Caffa in Abissinia, dove diversi esemplari vegetavano allo stato spontaneo. Il decorso storico e la relativa diffusione in altre regioni geografiche del caffè sono legate alle imprese belliche che intorno al 1300 gli Etiopi promossero contro alcune popolazioni limitrofe e alle invasioni subite sul loro territorio. Di fatto il caffè passò nell'Egitto meridionale e nell'Arabia nel XIV secolo e da qui ebbe rapida diffusione, favorito dalla facilità di coltivazione e più ancora dal clima ideale delle regioni costiere del sud dello Yemen o Arabia Felix, come una volta era denominato dai Romani. Da questi territori dove era coltivato splendidamente, la Coffea Arabica, come scientificamente verrà denominata la pianta del caffè, al seguito delle truppe conquistatrici proseguì il suo viaggio d'espansione verso nord lungo il Mar Rosso fino alla Mecca e a Medina. Verso la fine del Quattrocento la quasi totalità del mondo arabo poteva vantare di avere avviato numerose coltivazioni e di conseguenza il prodotto, oltre ad essere parzialmente consumato nel suo ambito, veniva esportato e commerciato in Egitto, Persia e Turchia, paese quest'ultimo che avrà notoria influenza per la conoscenza e la diffusione della bevanda. Benché molte supposizioni ci inducono a ritenere avviata la presenza del caffè in molte regioni prossime all'Abissinia, la prima testimonianza storica attendibile risale ad una vicenda accaduta alla Mecca nel 1511.
In quella città santa il sultano d'Egitto aveva nominato Khair-Beg nuovo governatore. Questi una sera, mentre rincasava, vide un gruppo di dervisci che bevevano la scura e saporita bevanda prima di dedicarsi ai rituali esercizi ascetici e, non conoscendo il caffè e le sue virtù, pretese da loro adeguate giustificazioni.
"Eccellenza — rispose uno di essi — stiamo sorseggiando del caffè..." e proseguì spiegandogli uso e pregi, facendogli presente che esso riscaldava lievemente la testa, attivando la mente, e che in città era diffusa l'abitudine di consumarlo.
Non convinto delle loro risposte, il governatore li fece punire ed allontanare e qualche giorno dopo chiamò a consulto quattro esperti delle scuole di diritto islamico, a cui aggregò undici sapienti di giurisprudenza della Siria e dell'Egitto venuti in città in pellegrinaggio, perché deliberassero sulla liceità ed innocuità dell'amaro decotto.
Dopo sette giorni di animate e controverse discussioni, il verdetto emesso stabilì che il consumo della bevanda nelle pubbliche botteghe o in gruppo era sconveniente e quindi doveva essere proibito, in quanto poteva indurre a commettere atti illeciti per un mussulmano. L'anatema seguito impose la chiusura immediata delle botteghe del caffè, l'arresto dei negozianti e il sequestro delle scorte, che vennero bruciate in pubblico. Si arrivò persino a minacciare quanti fossero stati trovati a berlo di essere messi alla berlina per le strade della città in groppa ad un asino.
Conosciuta l'amara conclusione dell'accaduto, il sultano dell'Egitto si mostrò contrariato ed in disaccordo, per cui revocò la carica a Khair-Beg e gli ordini da lui emessi, riammettendo il consumo del caffè, che continuò ad essere lecito e sempre più popolare sia alla Mecca che al Cairo.
Alcuni personaggi del resto già da allora ne avevano esaltato le virtù, come uno dei giudici, il giurista arabo Hadjibun di Medina, che lo aveva difeso dalle calunnie, sentenziando che "nel suo aroma si dileguano le preoccupazioni, il suo fuoco incenerisce i torbidi pensieri della vita quotidiana...", o come Abd-el-kadr, che ne compose il seguente elogio: "O caffè, tu dispensi i tuoi benefici, sei la bevanda degli amici di Dio, dai la salute a chi si affatica per acquisire la saggezza. Solo l'uomo caritatevole, che beve il caffè, conosce la verità. Il caffè è il nostro oro: dove lo si serve, si gode della compagnia dei migliori fra gli uomini. Voglia Dio che i calunniatori di questa bevanda non possano mai berlo".
Le assoluzioni e gli elogi non impedirono che sporadicamente circolassero altre calunnie sulla bevanda, soprattutto per l'ostilità di alcuni religiosi fanatici e retrogradi, i quali, osservando che all'aumento delle frequenze nelle botteghe coincideva la diserzione dalle pratiche nelle moschee, istigavano folle esaltate a molestare i mercati, a saccheggiare i depositi o ad influenzare la corte dei Califfi, affinché questi a loro volta esercitassero delle pressioni sui medici di corte, per allarmare la popolazione con giudizi di presunti danni arrecati dal caffè all'organismo. A completamento delle suddette influenze, esercitavano persino delle pressioni ideologiche, predicando dai pulpiti contro la bevanda, asserendo che essa non solo era invisa alle leggi, ma che il berla costituiva colpa più grave che non intrattenersi nelle bettole. C'era persino chi profetizzava che nel giorno del giudizio universale la faccia di coloro che sorbivano il caffè sarebbe apparsa più nera della pentola con la quale si preparava...
Dunque non era il caffè ad avere proprietà negative, ma erano piuttosto i timori dei suoi calunniatori a tentare di metterlo al bando: alcune autorità sospettavano infatti che nelle botteghe si potessero covare idee di ribellione, i religiosi fanatici erano insoddisfatti per l'affievolimento delle preghiere dei proseliti e persino alcune donne arabe non lo vedevano di buon occhio, perché affermavano che «l'uomo che veglia nelle braccia di "quawa non dorme sul guanciale della moglie».
Contrarietà a parte, il caffè continuò a conquistare il gusto dei popoli arabi, favorito non solo dalle sue misteriose qualità, ma anche dal divieto di consumo del vino da parte del Corano, favorendone indirettamente la sostituzione con il caffè, il quale andava occupando un ruolo sempre più importante, fino ad essere considerato la bevanda ufficiale e più diffusa, tanto da meritarsi il titolo, ancora oggi noto, di nuovo "vino dell'Islam". In tal senso ne aveva cantato le lodi anche il poeta turco Belighi, il quale inneggiava così alla nuova bevanda: "A Damasco, ad Aleppo e nella capitale, al Cairo, ci riuniamo in circolo con grande gioia! Il chicco di caffè, il profumo d'ambrosia! Prima di entrare nel serraglio, sulla riva del Bosforo, aveva sedotto i dottori e i cadì del Corano e aveva avuto i suoi fautori e i suoi martiri! Ma per fortuna ha vinto! E a partire da quel felice momento ha cacciato dall'impero dell'Islam il vino che fino ad allora era diffuso ovunque!".
La scura pozione si poteva così tranquillamente trovare a consumare in ogni parte dei territori arabi, dai grandi caravanserragli dove si fermavano i cammellieri per riposare dopo l'estenuante traversata dei deserti, ai sempre più diffusi locali riservati non solo ai ceti popolari, ma anche ai dotti, ai poeti, ai predicatori che vi si ritrovavano per declamare i loro versi o le loro dottrine. A favorirne poi la più vasta conoscenza e la più lontana diffusione contribuirono la propagazione dello stesso Islamismo e l'espansione turca sia in direzione araba che europea. Il caffè infatti toccò in Oriente l'apice del successo quando le conquiste ottomane in Siria, Mesopotamia, Egitto, Algeria, Crimea, Serbia, Bosnia, Valacchia, Moldavia, Transilvania, fino all'invincibile Ungheria, diventarono tappe definitive. Per questo si può affermare che mentre i Turchi dominavano i popoli con le armi, il caffè li conquistava col fascino misterioso del suo gusto e del suo aroma.
Altrettanto nota è l'entusiastica accoglienza della bevanda nella stessa Turchia, dove al suo arrivo incominciò a circolare la voce che Allah prima della Creazione aveva bevuto del caffè, nel giorno del riposo (il settimo) il thè e, quando Adamo ed Eva disobbedirono ai suoi ordini col peccato originale, il vino. Il racconto allegoricamente induceva far credere che il caffè, stimolando l'intelligenza, potenziava la creatività e la fantasia, il thè portava alla riflessione e alla meditazione, mentre il vino favoriva la distrazione e la sonnolenza (ecco perché il Profeta ne aveva proibito l'uso).
Nel periodo dunque che i Turchi aggiunsero l'Arabia e l'Egitto al loro impero, due mercanti, Hakim di Aleppo e Gems di Damasco, nell'anno 962 dell'Egira o 1554 dell'era cristiana, durante il regno di Solimano II il Magnifico, ciascuno per proprio conto, aprirono a Costantinopoli nel quartiere chiamato Tak-tacalah, due "Case del caffè", cui venne dato il nome di "Kahweh-Kanes", pubbliche mescite in cui molte persone confluivano per sorseggiare l'elisir arabo, a cui si erano votati dapprima per curiosità e poi per convinzione e diletto. Questi locali furono i primi "caffè", precursori di quelli che più tardi, a partire dal 1600, saranno aperti nelle principali città europee.
In essi vi affluivano pensatori e persone distinte e colte, poeti, letterati, diplomatici, pubblici funzionari ed amanti del gioco degli scacchi, perciò erano denominati "Mekteb-i-irfan" o "scuole delle persone colte" o più semplicemente "scuole del sapere" ed il caffè ivi servito era soprannominato "il latte dei giocatori di scacchi e dei pensatori".
Nei caffè turchi, arredati con superbe decorazioni, lungo i muri si susseguivano delle pedane ricoperte da soffici cuscini e da morbide e policrome sete. Su un fornello regnava sovrana una grossa caffettiera, dove la bevanda veniva tenuta sempre pronta per gli avventori che la sorbivano bollente e non zuccherata, in piccole tazze senza manici, chiamate "findjians" e posate su due piattini di legno. A molti piaceva aromatizzarla con qualche goccia d'essenza d'ambra o chiodi di garofano o cardamomo; ed intanto a dilettare l'affollatissimo ambiente si alternavano esperti musicanti e voluttuose ballerine. In breve tempo le due "Case del caffè" furono insufficienti e se ne dovettero aprire altre. Costantinopoli si riempì di questi locali, sempre affollatissimi, dove si beveva molto caffè, si giocava a scacchi e si parlava di politica. La pubblicità del tempo presentava il caffè come "il raddoppiatore dell'Io" e quindi tutti (guerrieri, mercanti, pensatori, ecc...) per raggiungere la vittoria ed il successo, dovevano assaporare la bollente tazza della scura tisana, preparata col classico e rituale metodo, rimasto appunto famoso col nome di "caffè alla turca", e servita a qualsiasi orario, di giorno o di notte. Il caffè era talmente diffuso nel costume popolare quotidiano, da indurre le donne turche, desiderose di berlo quanto gli uomini, a far inserire nel contesto di alcune disposizioni di legge, la concessione del divorzio a favore di quelle mogli, i cui mariti le privavano non solo del cibo, ma anche del caffè! Quale migliore trionfo per la bevanda dopo l'ormai superata serie di interdizioni inutili!

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