mercoledì 14 febbraio 2024

Storia del caffè parte 3: alla conquista dell'Europa

Oltre che seguire le spinte espansionistiche dell'impero ottomano dirette anche su Vienna, l'arrivo del caffè in Europa percorse l'itinerario, più naturale e pacifico, tracciato dalle rotte marittime, che attraverso il Mediterraneo univano l'Oriente con Venezia, Napoli, Marsiglia, Amsterdam, Amburgo e Londra. Corporazioni di grandi commercianti, già specializzate ed avviate nel commercio delle spezie esotiche, profumi, sete e tessuti variopinti, a partire dal XVI secolo, iniziarono ad importare anche sacchi di quei "chicchi toccasana", per le virtù mediche che loro si attribuivano, caricati nel porto di Alessandria d'Egitto, dove le carovane arabe facevano pervenire a dorso di cammello dai luoghi di produzione.
Sia pure in quantità limitate, il caffè fece la sua comparsa a Venezia nel 1570 ed il merito di averlo introdotto spetta in gran parte al noto medico e botanico Prospero Alpini, che aveva soggiornato per qualche tempo in Egitto in qualità di medico del Console di Venezia, ed inoltre a G. Francesco Morosini che ne aveva conosciuto gli usi a Costantinopoli, a Pietro della Valle che nel 1615 ne parlava per corrispondenza ai suoi amici, assicurando che di ritorno da Costantinopoli avrebbe fornito loro la ricercata e nuova merce, ed infine a Fausto Nairone che ne aveva fatto conoscere anche le note leggende.
Venezia, vero emporio dell'Oriente, accoglieva i vascelli europei in sosta nel suo porto. Su di essi si trasportava anche il caffè che continuava ad essere commerciato sempre più in abbondanza. Venezia fu quindi la prima città europea dove il caffè fece la sua comparsa ed i suoi abitanti per primi impararono a gustare il nero e decantato elisir dell'Oriente.
Avendo la bevanda, in pochi decenni, incontrato il favore dei Veneziani, gli affari intorno ad essa andarono progressivamente aumentando. I grani venivano immagazzinati in appositi e solidi edifici (come il Fondaco dei Tedeschi ancora oggi esistente) costruiti sia per il deposito, che per lo spaccio ed il commercio: qui infatti facevano riferimento i Tedeschi ed altri mercanti del Nord per approvvigionarsi dei prodotti esotici.
Alcuni decenni dopo, quando le autorità ritennero che uno spaccio ben fornito della bevanda avrebbe potuto far introitare lauti guadagni alle casse dello Stato, autorizzarono l'apertura della prima "bottega del caffè", avvenuta nel 1683, sotto le arcate delle Procuratie, in Piazza San Marco. Ne seguirono altre nei vari campielli e cento anni dopo queste toccarono il numero di 218, tanto che si tentò di porvi un limite. Vi fu persino un caffettiere che per battere la concorrenza ed attirare la clientela alla propria bottega fece stampare e distribuire un libretto che esaltava i pregi salutari della bevanda: siamo nel 1716 e questo episodio dimostra non solo la popolarità raggiunta dal caffè, ma anche l'intuizione affidata all'importanza della pubblicità. Diciamo che verso la metà del Settecento il gran numero dei caffè aperti a Venezia ed il viavai continuo di gente di ogni ceto che vi confluiva, quanto ad abitudini sul caffè facevano somigliare Venezia a Costantinopoli e considerare pienamente integrata la bevanda nel costume occidentale. Si pensi intatti che in significative circostanze il caffè era offerto quale dono graditissimo in segno di amicizia ed amore. Sempre a Venezia, nella prima metà del Settecento, corteggiatori ed innamorati inviavano Alle loro dilette vassoi ricolmi di caffè e cioccolata, quale raffinata e tangibile espressione d'affetto. Ma qualche difficoltà il caffè incontrò anche in Italia, dove intorno alla fine del XVI secolo alcuni esponenti della Chiesa, altrettanto fanatici di quelli musulmani, si mostrarono contrari alla nuova bevanda giunta dall'Oriente, definendola dinnanzi ai fedeli come "bevanda del diavolo" e facendo pressioni sul Pontefice Clemente VIII per farla interdire pubblicamente.
Il Papa, prima di dare il suo giudizio, chiese che gli fosse portata una tazza della nera bevanda. Alla sua vista, la assaggiò e, dopo il primo sorso, si racconta che avesse esclamato: "Questa bevanda è così deliziosa che sarebbe un peccato lasciarla bere ai soli miscredenti. Sconfiggiamo Satana, impartendole la benedizione per farne una bevanda veramente cristiana". E così il successo del caffè non incontrò ulteriori ostacoli, anzi divenne sempre più piacevole la consuetudine di andare al caffè sull'esempio del fenomeno veneziano. Il caffè visse così il suo momento d'oro, perse l'immagine esclusiva di bevanda-medicina o ricostituente venduta in farmacia, per essere considerata bevanda da sorseggiare in qualsiasi ora e luogo, nell'atmosfera del "dolce far niente" ed in galante compagnia o come più produttiva occasione per parlare d'affari, di cultura, di letteratura, di politica, ecc...
E fu sempre per il piacere del caffè che a Venezia come in altre città dell'Italia fiorirono le famose ed eleganti "Caffetterie", chiamate oggi "Caffè storici" (Florian a Venezia, Caffè Greco a Roma, Pedrocchi a Padova; Caffè degli Specchi, Tommaseo, San Marco a Trieste; Mulassano e San Carlo a Torino, Giubbe Rosse a Firenze ed altri di cui parleremo più avanti). Questi locali rimangono ancora oggi i simboli ed i templi storici della cultura, nelle cui sale spesso sfarzose si sono abitualmente succeduti artisti, pittori, scrittori, filosofi ed altri personaggi noti della società degli ultimi secoli.

In Francia il caffè, introdotto da alcuni mercanti marsigliesi nel 1644, ebbe buona accoglienza, anche se all'inizio non destò eccessivo entusiasmo. Un ruolo di rilievo lo ebbe il noto mercante Jean de la Roque, personaggio estroverso ed amante dell'avventura, il quale era solito offrirlo ai suoi amici ed ospiti, preparandolo nei piccoli bricchi alla turca e servendolo in ampie tazze.
Una più sensibile affermazione si ebbe intorno al 1660 sempre a Marsiglia, dove nel 1671, sullo stile di quelle di Costantinopoli, si aprì la prima bottega del caffè nella quale si incontravano ricchi mercanti e navigatori per bere l'aromatica bevanda e per giocare , fumare e programmare viaggi ed affari. Da Marsiglia a Lione, Tolosa, Bordeaux, Parigi ed altre città l'introduzione del caffè fu rapida. L'usanza di acquistare il prodotto esotico dagli speziali essenzialmente come medicina cadde sempre più col passare del tempo, come pure cominciò a diminuire il prezzo eccessivamente alto per via anche dell'alta tassazione: fenomeni ambedue che favorirono un'insolita passione per la bevanda, anche se i vignaiuoli le facevano una cattiva ed incessante propaganda.
Maggiori fortune si registrarono quando a Parigi il Solimano Aga Mustafa Raca, dell'Impero ottomano accreditato da Maometto IV alla Corte del Re Sole, nel suo palazzo, in un'atmosfera di mistero ed in un ambiente ricco di lusso e splendore, invitava ospiti e dame di corte, facendo servire loro la speciale bevanda preparata alla squisita maniera turca, calda e scura. E quando essa, dopo qualche riserva, fece la sua ufficiale comparsa e fu accettata alla Corte del Re Sole, Luigi XIV, in breve le botteghe, chiamate semplicemente "Café", ebbero un grande sviluppo.
Il caffè apparve pubblicamente in bottega nel 1672 alla Fiera di Saint-Germain, dove un armeno di nome Pascal aprì una botteguccia col nome di "Maison de Caova". Ne seguirono altre: "La Case Cuisinier" in rue Saint-André-des-Arts ad opera di tale Etienne, un levantino di Aleppo, poi l'altra dell'armeno Maliban e così via, una fioritura dopo l'altra.
In quegli anni apparve pure un caratteristico personaggio proveniente da Candia, soprannominato perciò "le Candiot", il quale girava per le strade parigine bussando alle porte, urlando ed esaltando la nuova bevanda. Inaugurava, per così dire, un nuovo mestiere ambulante, quello di "Vendeur de Café par les rues" ed infatti egli camminava con una caffettiera sotto la quale era fissato un fornelletto, mentre le tazze, i piattini e i recipienti per versare Il caffè gli pendevano dalla cintura.
Il grosso balzo del caffè si ebbe però nel 1702 quando la bevanda si popolarizzò per iniziativa di un gentiluomo proveniente da Palermo, Francesco Procopio dei Cultelli, che con l'apertura a Parigi davanti al Théâtre Français, di un grande e lussuoso locale, il "Procope", faceva degustare un ottimo caffè, spesso accompagnato da gelati, cioccolata, liquori e pasticcini. Lo fece arredare con gusto francese: pareti ricche di specchi, stucchi e doratura; lampadari di cristallo e tavolini di marmo.
Sui tubi della stufa, che riscaldava l'ambiente, faceva appendere i gazzettini con la cronaca quotidiana.
Qui, come negli altri famosi caffè che lo imitarono, si davano convegno filosofi, letterati ed enciclopedisti per degustare "le petit noir" e passare delle ore a discutere. Le signore altolocate, per le quali non era scattata la consuetudine di frequentare questi locali, facevano sostare le loro carrozze in prossimità dell'ingresso, per farsi portare dai loro inservienti la bevanda desiderata in raffinate tazze di porcellana o d'argento.
Numerosi e tutti eleganti furono gli altri caffè storici francesi: Café de la Régence, Bourette o Café des Muses, Laurent, quelli del Palais Royal, il Café de la Foy, du Caveau, de la Rotonde, de Chartres, des Mille Colonnes, des Aveugles ed altri noti e meno noti o più popolari, tanto che nel 1720 solo nella capitale francese erano in funzione ben 380 botteghe di caffè.
Tempi di gloria ormai per il caffè, stimato profondamente da tutti gli alti ranghi sociali. Persino Napoleone più tardi, divenuto un patito del caffè, ebbe ad esclamare: "Un buon caffè ed in quantità abbondante mi risveglia lo spirito, mi da vigore, una forza eccezionale e una ferma volontà d'agire". Purtroppo, a cause delle campagne belliche, tra il 1806 ed il 1813, egli dovette temporaneamente dichiarare il blocco continentale di prodotti importati, tra cui il caffè, suggerendo ai Francesi di ripiegare sul surrogato a base di cicoria. Si racconta, a proposito del periodo del proibizionismo, il seguente aneddoto: un giorno mentre egli attraversava le vie di una cittadina francese, sentì l'odore del caffè appena tostato provenire dal presbiterio di una chiesa. Vi entrò per verificare chi stesse trasgredendo le disposizioni in vigore, trovò il curato che stava portando a termine l'operazione della tostatura dei chicchi e a lui chiese ragione del suo operato. "Maestà — rispose pacatamente il reverendo — Voi avete vietato l'uso del caffè ed io sto per l'appunto bruciando la merce...!"
Abolito successivamente il blocco continentale, la bevanda tornò ad interessare diffusamente il gusto del popolo, tanto che su un giornale dell'epoca, l'Illustration — Journal Universel, si poteva leggere che il caffè era divenuto quasi una divinità... Dappertutto si prendeva il caffè; ma in nessun luogo del mondo come a Parigi era così confortevole e servito lussuosamente.

In Austria i primi approcci col caffè devono essere avvenuti verso il 1638, ma la comparsa ufficiale risale al 1683. In quell'anno i Turchi assediarono Vienna, costringendo i cittadini ad una resistenza senza speranza, anche perché non riuscivano a comunicare con gli alleati, né a ricevere aiuti e vettovaglie.
Provvidenzialmente si fece avanti un cittadino polacco, Franz Georg Kolschitzky, offrendosi assieme ad un aiutante di attraversare il presidio turco senza creare sospetti (in quanto conosceva bene la lingua turca, avendo egli soggiornato presso una tribù turcomanna), per dirigersi verso il comando alleato del duca Carlo di Lorena onde ottenere rinforzi. L'operazione riuscì ed i Turchi furono costretti ad interrompere l'assedio di Vienna e fuggire, abbandonando centinaia di sacchi di caffè compresi fra le vettovaglie, assieme ad un gran quantitativo di armi.
Il polacco Kolschitzky, che con quello stratagemma aveva contribuito alla disfatta turca, chiese in premio quei sacchi, da cui egli sapeva come ricavare la deliziosa bevanda conosciuta in Oriente, e l'autorizzazione ad aprire il primo caffè in città, che chiamò caffè Zur Blauen Flasche, "La Bottiglia Blu", aperto a Vienna nel 1683 in Via Duomo, vicino allea Cattedrale.
All'inizio la bevanda, preparata alla turca, non piacque ai Viennesi, ma quando Kolschitzky pensò di filtrare l'infuso per liberarlo dal fondo, addolcirlo col miele, aggiungervi la panna ed accompagnarlo poi col noto croissant a forma di mezzaluna, iniziò la sua fortuna, parallelamente a quella del caffè e dei locali cittadini divenuti celeberrimi.
Si sviluppò così la famosa cultura dei caffè viennesi, protetti inizialmente con riconoscimento imperiale da Leopoldo I e sviluppatisi ancora più al tempo di Maria Teresa d'Austria.
Nei caffè viennesi si davano appuntamento persone che miravano a concludere affari, a mettere in vista titoli e onorificenze, a coltivare interessi affini. Ma essi divennero ricercati anche per l'aspetto distensivo-ricreativo, poiché i proprietari li dotavano di giornali e riviste, di biliardi, di occasione per l'ascolto di musica. Fra i più noti caffè storici ricordiamo: il Caffè Griensteild, Das Ilberne Kaffehaus, Caffè Centrale, Herrenhof, Museum, Imperiale, Sperl ed altri.
Ancora oggi i caffè in Austria sono un'istituzione, considerati come ambienti di ricreazione al chiuso, frequentati da anziani e da giovani, che si recano in questi gran salotti non solo per bere la bevanda, ma anche per leggere il giornale, giocare a scacchi, scrivere, leggere, far politica, parlare di arte o semplicemente per chiacchierare. Quanto ai tipi di caffè che consumano, se ne contano almeno una cinquantina: da quello biondo a quello scuro, dal semplice ai doppio, da quello puro a quello misto con panna o con l'aggiunta di un po' di liquore all'albicocca, ecc...

Dalla seconda, metà del XVII secolo il caffè in Inghilterra incominciò a conquistare il gusto di tutte le classi sociali, anche perché l'influenza ed i benefici della nuova bevanda contrastavano l'uso e l'abuso degli alcolici e la frequenza da parte dei cittadini di taverne contraddistinte dal diffusissimo vizio delle ubriacature.
Ad introdurre il caffè fu Daniel Edwards, un ricco commerciante britannico, che, dopo aver risieduto per alcuni anni a Smirne, si era appassionato del Cahveh e di ritorno dall'Oriente fece conoscere i grani ai suoi amici, offrendo la bevanda prima in casa sua e poi aprendo, nel 1652, a Londra il primo celebre caffè pubblico, il "Michael Alley", affidandolo alla direzione dell'italiano Pasquale Rosée, che in precedenza aveva servito il caffè in casa Edwards.
Il successo fu immediato: tutti furono attratti dalla caffeomania, si formarono dei clubs con lo scopo di gustare il decantato liquore arabo e si aprirono altri numerosi locali pubblici, tanto che verso il 1671 si contavano circa tremila Coffee Houses, dove il caffè era considerato la bevanda preferita e il "rimedio universale" contro tutti i mali. I più famosi caffè aperti furono la Coffee House di James Farr, il New Lloyd di Londra e il Café Royal.

Un'affermazione più moderata ebbe il caffè in Germania, a causa dell'attaccamento di quel popolo alla birra; quando infatti progressivamente la bevanda orientale vi prese piede conquistandosi un posto di riguardo nel consumo e nel commercio tedesco, suscitò le lamentele e le proteste dei birrai. Il primo caffè tedesco fu aperto ad Amburgo nel 1679 da un commerciante inglese.
In Olanda Amsterdam, dove la bevanda si beveva già dal 1666, fu centro commerciale attivissimo del caffè, grazie alla famosa e potente Compagnia delle Indie Orientali, che non solo lo importò e diffuse nelle città dei Paesi Bassi, ma divenne la protagonista principale nell'avventurosa introduzione delle coltivazioni della pianta di caffè nelle colonie olandesi orientali. L'interesse per il caffè si accentuò sempre più anche negli altri paesi del Nord Europa, come la Norvegia, Svezia, Danimarca, Finlandia, che oggi quanto a consumo pro-capite del prodotto occupano i primi posti in Europa. Una curiosa ed incredibile vicenda sul caffè è appunto ambientata in Svezia, dove nel Settecento si scontrarono focosamente due gruppi di cittadini, uno dei quali vantava il caffè come bevanda superiore al thè, mentre l'altro sosteneva il contrario.
Per dirimere la controversia Re Gustavo III dispose che le due bevande fossero fatte bere a due fratelli gemelli, condannati e rinchiusi nelle carceri: naturalmente uno doveva bere solo caffè e l'altro solo thè. I fatti avrebbero dimostrato quale delle due bevande avrebbe permesso una sopravvivenza più lunga. L'esperimento durò per diversi anni sotto l'osservazione di medici e magistrati, mentre i cittadini si erano divisi su chi sarebbe sopravvissuto di più. Paradossalmente i due vissero per diversi anni, mentre il re, i medici ed altri sorveglianti morirono prima dei due condannati. Solo la vecchiaia riuscì a stroncare quello del thè a ottantatrè l'altro del caffè finì quasi centenario. L'esperimento in conclusione non aveva provato la nocività delle bevande, semmai aveva dimostrato il contrario.

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